Nuovi contratti e nuovi lavori

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La flessibilità del lavoro rappresenta ormai da qualche decennio un tema al centro del dibattito pubblico e scientifico: si tratta infatti di una delle dimensioni che maggiormente hanno influito sulla dinamica e sulle trasformazioni dei mercati del lavoro contemporanei.nnLa crisi della grande impresa manifatturiera, e il venir meno dei presupposti tecnologici,economici e sociali del modello produttivo taylor-fordista, le forti pressioni competitive a livello internazionale, con l’emergere di nuove economie in forte espansione, la terziarizzazione dell’economia sono tutti fattori che hanno posto nuove sfide alle economie avanzate, soprattutto in termini di abbattimento dei costi di produzione e di lavoro. Allo stesso tempo la spinta verso la flessibilità del lavoro è determinata anche dalle trasformazioni dell’offerta del lavoro, in termini di una maggiore autonomia e selettività rispetto alla domanda, a seguito del progressivo ingresso nel mondo del lavoro di nuove componenti della popolazione (donne, giovani, anziani ecc.) che richiedono una diversa modulazione degli orari di lavoro e forme parziali dell’occupazione per rispondere ad esigenze di accrescimento delle proprie credenziali educative e delle proprie competenze professionali, di conciliazione tra la vita familiare e il lavoro extradomestico, ma più in generale di pluralizzazione degli interessi e delle appartenenze sociali.nnA questa richiesta in Italia è stata data una risposta in ritardo rispetto ad altri paesi europei che da più tempo hanno affrontato il dibattito sulle trasformazioni del mondo del lavoro e sulla flessibilità del lavoro. Il processo di deregolamentazione parziale e selettiva del mercato del lavoro prende avvio con l’approvazione del “pacchetto Treu” nel 1997 per poi arrivare fino alla L. 30 del 2003, che razionalizza e introduce nuove tipologie contrattuali fino a ben 21 diversi rapporti di lavoro atipico.nn

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