Appropriatezza della Formazione dei professionisti del Sistema SSL

rn

Un professionista è abitualmente considerato un esperto che risolve problemi applicando nella pratica teorie e tecniche prodotte in campo scientifico.nnSe il professionista, seguendo il modello della razionalità tecnica, di fronte a una situazione concreta attinge al magazzino di problemi e soluzioni che la scienza ha predisposto,sa che può operare con rigore; ma lo schema scelto può non essere pertinente, ovvero non riflettere in modo adeguato la situazione affrontata per quanto riguarda in particolare la valutazione dei rischi per donne e uomini, se non si conoscono le evidenze scientifiche riferibili alle variabili uomo donna nel lavoro e nella salute.nnSe invece non segue la razionalità tecnica, il professionista si confronta con la situazione utilizzando il repertorio di esempi, immagini, descrizioni e azioni che racchiude il complesso della sua esperienza e di cui dispone per comprendere e formulare nuove ipotesi.nnÈ un dato di fatto che tutta la cultura incentrata sulla salute e sicurezza sul lavoro si sia sin qui sviluppata intorno ad un approccio “neutro” ed è quindi verosimile che non ci siano esempi o modelli da seguire o non almeno in tutti gli ambiti professionali.nnLa strategia del professionista consiste, allora, nel saper vedere la situazione come qualcosa che è già presente nel suo repertorio, senza che questo significhi includerla in una categoria o in una regola consuete. Vedendo questa situazione come una già nota, può agire in una situazione nuova in modo pertinente.nnLa situazione consueta funge da precedente, o da caso esemplare, il vedere come, assume una forma definita “metafora generativa”, che consente di relazionare l’esperienza passata al caso unico. È la capacità di “vedere come” e “agire come” che permette di “sentire” i problemi che non si adattano a regole predefinite.nnCiò sta a significare che il professionista ha bisogno di immaginare un modo nuovo, di percepire le peculiarità e le differenze. Solo allora potrà attivare le proprie risorse per rispondere a domande che non si era mai posto o che non gli erano mai statennformulate.nnLa produzione di conoscenza, per ognuno/a sarà peculiare e soggettiva, dal momento che il corpo è il “luogo” in cui i concetti di salute e malattia, ma anche quelli di differenza (di sesso, genere, età, cultura…) prendono forma, diventano esperienze concrete.nnIl “genere” stesso è, infatti, un concetto “incarnato” in quanto non può prescindere dai corpi di chi osserva e di chi è oggetto dell’osservazione;nnentrando in un luogo di lavoro noi osserviamo ed agiamo a partire dal nostro essere donna o uomo: non è dato essere “neutri”.nnAvremo una nostra peculiare visione del mondo, del rapporto tra i sessi, avremo degli stereotipi e dei punti di vista sull’equità. Saremo o non saremo in grado di individuare e percepire le disuguaglianze e le discriminazioni.nnPer trasformare tutto questo in competenze situate e in azioni pertinenti anche al di fuori dalla razionalità tecnica, è necessario, quindi, voler e poter traslare ambiti del sapere e del saper fare dal noto (neutro) al meno noto (approccio di genere).nnTenere conto del genere di appartenenza: come si fa? Quali sono le specificità di uomini e donne nel loro rapporto con il lavoro e la salute? Come si può, quindi, spostare l’analisi relativa alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dai “rischi” alla salute e al benessere individuale ed organizzativo?nn

rn